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Jean-Claude Villain

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Jean-Claude Villain è nato in Borgogna nei 1947. Di formazione filosofica e antropologica, vive dai 1975 in Provenza, pro cui ripercorre miti e canto. Particolamente intensi sono i sui scambi con la culture greca e con quella araba. È autore di teatrali e di saggi ( antizutto studi sulla poesia contemporanea). Svolge la sua attività di critico letterario su diverse riviste.

Jean-Claude Villain

Da: Sette canti di risveglio: Tre canti.

Quando scrissi i primi “Canti di Risveglio”, Beyrouth bruciava e io pensavo ai poeti libanesi Georges Schéhadé e Salah Stétié. Continuai la scrittura di questi canti mentre si abbatteva il muro di Berlino e la cortina di ferro un tempo piombata sull’Est della nostra Europa si risollevava. Oggi la Yugoslavia è dilaniata e i vicini, gli amici di ieri, si uccidono tra loro. Il poeta non è il politico. E’ a lui che spetta il compito, negli eventi e spesso contro di essi, di attestare la pace e la fratellanza. Anche sognandole.

(1993)

CANTO II

i canti si levano; pace alle nostre razze in questi giorni attesi dai saggi, e ascolto sensibile ai nostri cori; ecco che scende in noi l’armonia sperata: sì, è l’incontro, avvenuto, del cielo e della terra; le nazioni ci guardano senza più sapere se occorre affrettare, o trattenere, la nostra lunga e dolorosa storia, quali parole dirci, e in che lingua; la nostra è vecchia, ne occorre una nuova; il padre abbraccia il figlio e la figlia riconosce sua madre; hanno laggiù, sembra, sradicato i pali, cancellato la frontiera, e riaperto il vecchio ponte sul fiume; a frotte i bambini hanno invaso i cortili e i giardini; persino gli uccelli hanno ritrovato i rami; col loro passo lento i vecchi abbandonano la soglia; non saranno gli ultimi a sapere; rimuginano: rimane abbastanza speranza nel loro disincantato cuore per riconoscere la notizia, iscriverla nello spazio delle loro ferite; sapranno preferire la strada del mare alla via delle tombe; certo continueremo a infiorare i cimiteri, a vegliare con pazienza le ceneri sacre – non lo dimentichiamo: il fuoco di ieri era ancora di polvere e di bronzo – e sapremo a lungo i nomi, i luoghi, che in sorte hanno avuto il sangue e la notte, nel freddo di sorde campagne, e nell’angustia di vicoli scoscesi, ai cui angoli si abbattevano corpi; ora, celebriamola, l’ora è giunta del riconoscimento nostro, dei nomi visibili, e della nostra vicinanza; delle lontane discendenze, coltiviamo i rami gemelli, le liane che ci legano, la familiarità delle lingue, la prossimità dei tetti, dove più non cadranno che il sole e la pioggia; non nasconderemo più i figli di un destino sempre più saggio di noi: concepiti nel selvaggio desiderio d’uomini e di donne nemiche, avevano ragioni per nascere; e siccome un giorno il nostro istinto ci vietò di sacrificarli, comprendiamo meglio oggi per quale oscura ragione; ci sono volute tante generazioni feroci e ostinate, sconvolte e disfatte, per capire appena questa semplice lezione; avremo ora la forza di ricordarla, di ripeterla al di là del deserto che a Sud, ad Est, ci circonda, e al di là del mare che ogni sera brilla dello stesso rosso, al tramonto?

CANTO III

pace al tuo volto, il cui riso smentisce lo sguardo smarrito; gioia al cuore che sale stringendo le labbra; tu, figlio della strada che hai parecchi nomi – uno per ciascuna persona che ti accoglie – divertiti come prima a contare le nubi, a imitare la loro forma sulla sabbia o nel fango che tiri via dalla pozzanghera; continua a parlare agli uccelli che ti vengono sulle mani; tu solo tra noi scambi con loro parole familiari; quali carte hai in mano per trattenerli, quali semi nascondi nelle tasche, più gustosi delle bacche dei cespugli che corrono lungo le rovine; qui si dice a volte che sei strano, e lo sei per dolcezza in questo mondo mortificato d’odio, di paura e di ferite; per te la vita è nell’aria, sugli alberi, nel cielo: guardi più in su del tetto delle case da dove tante volte scesero le fiamme, fino ai marciapiedi ingombri delle nostre strade; tu non hai passato, o almeno vivi senza il ricordo e senza il dubbio: è per questo che la paura non ti ha mai colto, che resti, senza insolenza, insensibile al tumulto degli uomini di polvere; lo sai, hanno adesso sistemato i fucili in fondo alle cantine e ai bauli, e le donne accendono ogni sera lampade alle finestre; domani attraverserai la strada riaperta, ti troverai in faccia un mondo che è lo stesso, e alla stessa ora; capirai chi ti parla e sarai riconosciuto; sì, anche gli uccelli conoscevano questa verità: e non ti avevano detto niente; non te la prendere; il cielo ignora le inutili, ed effimere, frontiere.

CANTO IV

ora la mia porta è aperta e dalla strada vedo il mare; dai fortini e dalle navi non giungono più fumate nere; a quest’ora precoce il bianco di una bruma leggera vela appena l’orizzonte; ma distinguo il promontorio dove tornerò domani dopo tanti anni; sognerò sotto i lunghi rami degli alberi nostri, fierezza fresca dei nostri giardini; ci ritroverò i passaggi segreti, i giochi intrepidi di bimbo guerriero; sì, ci scenderò domani, forse ci andremo insieme se lo vorranno; qui si tendono corde per il bucato e il mio amico poeta guarda i suoi libri sugli scaffali; hanno sofferto poco, mi ha detto, e la loro polvere è solo la sabbia del sonno in cui si sono rannicchiati nella complicità fedele della mia memoria; è strano come, di nuovo, ci sia luce qui; certo, è primavera, ai suoi primi giorni, ma lo sapremo sempre ormai: il sole duro picchierà ancora, e nero sul tocco delle una; ma noi berremo freschi, senza fretta e senza cure; sì, lo so, c’è tanto da fare dopo tutto quel che è stato disfatto, e noi non rifaremo tutto; cominceremo più tardi il vero lavoro, l’ardore votato alla ricostruzione; adesso abbiamo ragione: accontentiamoci solo di qualche rito; una campana si disegna nella corte e mi giungono gli odori d’una antica cucina; prendiamo ancora un po’ di questo tempo, qui, per niente, solo per tirar fuori le sedie sulla strada; già, pare, altri piantano alberi di pace sulle piazze; nell’altra stagione, se lo vorranno, gusteremo insieme l’olio di quei frutti.

(trad. di Myriam Villain).

Jean-Claude Villain

Il mondo è bello e noi abbiamo occhi per vedere

(extraits, trad. di Michela Landi)

Mi ricordo che al principio, è detto, era la parola, e dunque, alla fine, sarà forse il silenzio.

Mi ricordo che Adorno ha posto la domanda: si può ancora scrivere poesia dopo Auschwitz?

Mi ricordo che parlare di poesia significa spesso ucciderla.

Mi ricordo degli autodafé dell’Inquisizione, di quelli delle SS a Berlino e che ogni volta che si bruciano libri, presto si brucieranno gli uomini.

Mi ricordo che una fatwa ha condannato Salman Rushdie a morte per i suoi Versetti satanici.

Mi ricordo dell’incendio della biblioteca di Alessandria, di quello di dieci anni fa della biblioteca di San Pietroburgo, che distrusse 550.000 libri e, nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992, di quello della biblioteca di Sarajevo, che ne distrusse 2 milioni.

Mi ricordo che, secondo Ray Bradbury, Fahrenheit 451 è la temperatura alla quale i libri bruciano.

Mi ricordo che nel X secolo a Bagdad un poeta scrisse: “Se vedi i tuoi libri tradirti, consegnali al fuoco” (Abou Saïd al-Sirafi)

Mi ricordo che il mondo è bello e che noi abbiamo occhi per vedere

Mi ricordo di una bambina, con la pelle a brandelli, che correva nuda su una strada del Vietnam

Mi ricordo que molto tempo fa mia figlia corse verso il mare, e ritornò con la mano coperta di schiuma per carezzarmici il viso

Mi ricordo che se l’armonia è un sogno da raggiungere, l’incubo è forse una delle figure del caos

Mi ricordo del sorriso di Buddha e della sua felice impassibilità

Mi ricordo che bisogna credere alla grazia e agli angeli, perché esistono

Mi ricordo di Nelson Mandela, primo Presidente del Sud Africa democratico, che ballava dopo aver trascorso ventisette anni in prigione

Mi ricordo che Camus ha scritto: “La vita non è da vivere, ma da bruciare”

Mi ricordo del Comandante Massoud, e che era anche poeta nel Penshir

Mi ricordo di esser stato accarezzato dalle piume di un gabbiano, e che fu come se il mare intero mi avesse attraversato

Mi ricordo che il mondo è bello e che noi abbiamo occhi per vedere

Mi ricordo che la Giustizia è raffigurata dai due piatti orizzontali di una bilancia, e che può essere forse anche una metafora dell’armonia

Mi ricordo che non c’è giustizia, e niente dio perché niente giustizia

Mi ricordo che il paradiso è in cielo e mi domando dov’è l’inferno

Mi ricordo che, giunta in Europa occidentale, la nube di Chernobyl riconosceva le frontiere degli Stati e ne evitava alcuni

Mi ricordo che delle carrette del mare affondano di notte negli stretti di Messina e Gibilterra

Mi ricordo che in questo inizio di terzo millennio si costruisce un muro di cemento di 8 metri d’altezza per separare due popoli, e che alla fine del secondo millennio se ne abbatté uno per riunire un popolo

Mi ricordo che le mie amanti hanno scolato in mare le stelle cadute sui loro capelli

Mi ricordo che il mondo è bello e che noi abbiamo occhi per vedere

Mi ricordo della questione del primato dell’etica sull’estetica, o dell’estetica sull’etica

Mi ricordo della domanda, attribuita a Alberto Giacometti: in una casa che brucia, scegliereste di salvare un gatto o un quadro di Rembrandt?

Mi ricordo che Martin Luther King aveva un sogno

Mi ricordo che tempo fa ho rinunciato, una volta per tutte, ad essere un mutante moderno

Mi ricordo che gli Stati Uniti dispongono di 10640 testate nucleari, la Russia 8600, la Cina 400, la Francia 350, il Regno Unito 200, Israele 150, l’India 80, il Pakistan 40, la Corea del Nord forse una o due, e l’Iraq zero.

Mi ricordo che l’oceano atlantico è il più grande cimitero nero

Mi ricordo dell’America prima di Cristoforo Colombo

Mi ricordo che mia nipote [mia figlia] mi chiedeva sempre: “Come si può fermare il cielo”?

Mi ricordo di Rosa Parks che, il 1 dicembre 1955, rifiutò di cedere il posto a un Bianco in un bus di Montgomery, in Alabama

Mi ricordo che, ad essere più ricchi siamo anche divenuti molto più poveri

Mi ricordo che i miei nonni mi dicevano: “tu, almeno, vedrai l’anno 2000”

Mi ricordo che la fenice rinasce dalle sue ceneri

Mi ricordo dell’anonimo studente che fermò, da solo, una colonna di carri armati sulla Piazza Tien An Men nel giugno 1989 e mi ricordo degli studenti cechi che scalavano i carri armati russi a Praga nel 1968

Mi ricordo di Jan Pallack

Mi ricordo che il mondo è bello e che noi abbiamo occhi per vedere

Mi ricordo dell’Andalusia felice, prima del 1492

Mi ricordo che in questi dieci ultimi anni 60 tribù indiane sono scomparse dall’Amazzonia

Mi ricordo che sono, anch’io, bianco fuori, ma nero dentro

Mi ricordo che scrivere poesia, è anche resistere

Mi ricordo che è pericoloso per un poeta posare le mani sulla sbarra trasversale di un carrello del supermercato

Mi ricordo che avrei potuto essere un terrorista

Mi ricordo che il mondo è bello e che noi abbiamo occhi per vedere

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